Dopo l’approvazione, nella giornata di sabato, da parte del Consiglio UE, in accordo con i Paesi del G7 e l’Australia, da oggi entra il vigore il price cap sul prezzo del petrolio russo, fissato a € 60. Valore certamente inferiore a quello del brent del Mare del Nord e del WTI Usa (entrambi superiori agli 80$), ma ben superiori al suo costo estrattivo, stimato in circa € 35. Secondo le stime della Commissione europea, almeno il 94% della produzione russa destinata all’Europa dovrebbe essere bloccato. Rimangono invece aperti i canali che consentono il trasporto verso Paesi terzi, a condizione che il prezzo rimanga al di sotto del limite fissato. Putin, ovviamente, ha fatto subito sentire la sua voce, dichiarando che sospenderà le forniture agli Stati che lo sosterranno.
E’ la prima volta che un provvedimento del genere viene adottato. Nessuno, quindi, ha ben chiaro cosa potrebbe succedere da oggi. Ieri si sono riuniti, anche se via web, i rappresentanti dei Paesi dell’Opec+, i principali Paesi produttori (di cui fa parte la Russia).
Logica vorrebbe che la produzione aumenti per compensare il venir meno di quella russa (a novembre, un po’ a sorpresa, salita sino a 10,9 ML di barili giorno (di cui 800.000 destinati all’Europa), il livello massimo da 8 mesi a questa parte. Qualsiasi decisione peraltro dovrebbe essere rinviata ad una fase successiva, una volta verificato il blocco all’export russo. Il mantenimento della produzione attuale (al netto di quella proveniente dalla Russia) potrebbe portare ad un consistente aumento dei prezzi petroliferi, dopo i minimi toccati ad inizio settimana scorsa, con il WTI sceso sino verso i $ 73.
Al di là del price cap e del blocco dell’import da parte dei Paesi UE (ad esclusione di 300.000 barili giorno, permessi grazie ad un “esonero” temporaneo), da oggi scatta un provvedimento forse ancora più determinante, vale a dire il divieto di prestare qualsiasi servizio all’export del petrolio russo. Aspetto non secondario, molto temuto dagli USA, al punto da convincere la UE a limitarlo ad u n periodo di 90 giorni, nella speranza che sia un periodo sufficiente per “affossare” le finanze di Mosca. Si calcola che, nell’immediato, la produzione russa possa calare di almeno 1ML di barili giorno.
L’export russo, quindi, da oggi diventa molto più complicato, per non dire quasi impossibile.
Sostanzialmente per 2 ordini di ragioni.
La prima è la disponibilità di petroliere; anche tenuto conto di quelle “fantasma” o di quelle messe a disposizione di armatori compiacenti, reperirle non è impresa semplice.
La seconda, forse ancora più grave, è legata ai contratti assicurativi. Le Compagnie specializzate nel settore dello shipping sono praticamente tutte europee (la maggior parte con sede a Londra). Da oggi sarà praticamente impossibile assicurare le navi e il loro carico. Ancor più difficile trovare polizze in grado di assicurare dal rischio di disastri, come il naufragio o la perdita di carburante durante la navigazione. Ostacoli non semplice da aggirare, anche cercando alternative in Paesi come l’India o la Cina.
Intanto, all’apertura delle contrattazioni il WTI sale di circa l’1%, portandosi verso gli 81$. Come previsto nella riunione di ieri i Paesi Opec+ non hanno preso nessuna decisione, confermando i livelli produttivi attuali e i programmi a suo tempo definiti.
Partenza sprint per i mercati asiatici. La notizia che in molte città cinesi i lockdown si stanno allentando, se non addirittura eliminati, riporta gli investitori al “risk on”, con rialzi diffusi, soprattutto nei mercati della great China: Shanghai sale dell’1,75%, mentre a Hong Kong l’Hang Seng cresce di oltre il 4%. Morgan Stanley, una delle maggiori banche d’affari mondiali, torna a consigliare le azioni di società cinesi. Rimane al palo Tokyo, con il Nikkei appena sopra la parità (+ 0,15%).
Futures al momento negativi un po’ ovunque, con ribassi comunque contenuti.
Sul fronte delle materie prime, detto del petrolio, colpisce la caduta del gas naturale USA: questa mattina lo troviamo a $ 5,914, in calo di oltre il 6%.
Oro che si conferma sopra i $ 1.800 (1.811).
Spread che si riaffaccia sopra i 190 bp (191,5), con il BTP verso il 3,85%.
Treasury a 3,53%.
Consolida l’€, con l’€/$ a 1,0559.
In ripresa anche il bitcoin, che questa mattina si rafforza oltre i $ 17.000 (17.312, + 1,80%).
Ps: per il 3° anno consecutivo negli Usa si sono verificate più di 600 sparatorie di massa. Con questo termine si intendono conflitti a fuoco in cui sono rimaste uccise 4 o più persone. L’anno scorso gli episodi sono stati 690. E ad oggi le persone uccise sono già oltre 39.000. Il paradosso è che si discute ancora sulla possibilità che tutti, a condizione che siano maggiorenni, possano acquistare o detenere armi.